Le etichette dei cibi sono piene di trappole: evitale così
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- Categoria: L'opinione
Quando ho iniziato a scrivere questo libro, Cosa c’è nel mio Cibo (Giunti) era l’estate dell’anno scorso: pensavo che sarebbe stato “soltanto” un interessante, impegnativo lavoro d’inchiesta, proprio quelli che piacciono a me (scrivo, tra l’altro, di alimentazione da circa vent’anni). E invece ho avuto una sorpresa: sono stata a contatto con tante emozioni. Ero giornalista e consumatrice allo stesso tempo: la rabbia nel leggere ingredienti pessimi si mescolava al sollievo di un’etichetta fatta bene, perché il produttore si impegnava a fornire un alimento davvero senza ombre per la nostra salute. Il disappunto di vedere confezioni-civetta che invitavano all’acquisto di un prodotti “sano” che sano non era per nulla veniva alle volte scacciato dalla soddisfazione di trovare un prodotto che non voleva “fregarmi”.
Quando ho iniziato a scrivere questo libro, Cosa c’è nel mio Cibo (Giunti) era l’estate dell’anno scorso: pensavo che sarebbe stato “soltanto” un interessante, impegnativo lavoro d’inchiesta, proprio quelli che piacciono a me (scrivo, tra l’altro, di alimentazione da circa vent’anni). E invece ho avuto una sorpresa: sono stata a contatto con tante emozioni. Ero giornalista e consumatrice allo stesso tempo: la rabbia nel leggere ingredienti pessimi si mescolava al sollievo di un’etichetta fatta bene, perché il produttore si impegnava a fornire un alimento davvero senza ombre per la nostra salute. Il disappunto di vedere confezioni-civetta che invitavano all’acquisto di un prodotti “sano” che sano non era per nulla veniva alle volte scacciato dalla soddisfazione di trovare un prodotto che non voleva “fregarmi”.

Dello stretto legame che c’è tra cibo-salute si parla da anni. Ma le più recenti ricerche scientifiche sono andate oltre: quello che accade nei primi 1.000 giorni di vita, dal concepimento al secondo compleanno, per quanto riguarda l’ambiente e l’alimentazione, condiziona la maggiore o minore predisposizione alle malattie nel resto dell’esistenza. Ecco, allora, che diventano importanti persino le condizioni di salute e il peso della donna nell’istante del concepimento. Come pure il suo stile di vita, le abitudini a tavola, il luogo in cui vive. E se alcuni aspetti (come la località di residenza) non possono cambiare, altri invece sì. E possono essere positivamente modificati: l’attesa di un figlio non è forse l’inizio di un grande cambiamento? Allora è importante che possa esserlo per tutta la famiglia, papà incluso, attraverso una maggiore attenzione alla dieta, allo sport, alle relazioni (non dimentichiamo che siamo animali sociali).
Alessandra Bortolotti, psicologa perinatale, è l’autrice di I cuccioli non dormono da soli - Il sonno dei bambini oltre i metodi e i pregiudizi (Mondadori), un libro che affronta uno dei temi più sentiti dai neogenitori, partendo dal bisogno di ogni cucciolo (anche di uomo) di calore e vicinanza nel primo periodo di vita. Ecco la presentazione del libro scritta dalla dottoressa Bortolotti per La Rete delle Mamme.
Su unioni civili e stepchild adoption, in questo inizio di 2016, si stanno scontrando pediatri ed esperti: se alcuni ritengono che crescere con due mamme o due papà possa influire negativamente sullo sviluppo psichico e relazionale del bambino, altri affermano che non ci sono prove certe che ciò possa avvenire. Una di questi è la dottoressa Margherita Spagnuolo Lobb, psicoterapeuta e direttore dell’Istituto di Gestalt HCC Italy. Sostiene l’esperta: «Non ci sono prove certe del fatto che crescere in una famiglia gay possa avere ricadute negative sui processi di sviluppo psichico e relazionale del bambino. Ci sono, invece, ricerche che provano che i bimbi cresciuti in un contesto di omogenitorialità sono sanissimi e forse più socievoli e bene adattati alla società. Dobbiamo sempre riportare ciò che osserviamo al contesto in cui viviamo. Una realtà che presa in se stessa ci sembra assurda (un decennio fa non avremmo mai immaginato che una coppia di omosessuali potesse concepire, anche se con pratiche eterologhe, figli propri), considerata nel contesto cui appartiene può apparirci normale. Oggi è tutta l’antropologia dell'umano che sta cambiando».
Un tempo i bambini li portava la cicogna. Oggi molti bambini li porta il mare. Li riversa su spiagge straniere e, se per tutti bambini del mondo il destino è ignoto, per questi lo è ancora di più. Su quelle spiagge potranno rinascere, come fossero partoriti una seconda volta. O potranno morire, come è successo ad Alan, il profughino siriano la cui foto ha fatto il giro del mondo. Alan aveva due anni, o tre, a seconda di quello che scrivono i giornali. La sua età non è certa, mentre è certa la fine della sua piccola vita. La sua mamma e il suo fratellino sono annegati con lui, resta un padre sconfitto.