Rosanna Schiralli Nostro figlio
Nella veloce trasformazione della nostra società si sono persi importanti punti di riferimento. Tra tutti, uno sembra di estrema rilevanza: il rapporto con i figli. Per mantenere l’opulenza (cioè per comprare le merendine ai cereali, le scarpe da ginnastica con le lucette che si accendono mentre si cammina o la maglietta firmata) c’è bisogno di lavorare, produrre, correre, sbrigarsi. I figli vanno tenuti bene. Vogliono il telefonino di ultima generazione, il computer al plasma e poi bisogna pagare la quota per la piscina, la palestra o per la scuola di pianoforte. Quante cose bisogna fare!

Rosanna Schiralli Nostro figlio
Nella veloce trasformazione della nostra società si sono persi importanti punti di riferimento. Tra tutti, uno sembra di estrema rilevanza: il rapporto con i figli. Per mantenere l’opulenza (cioè per comprare le merendine ai cereali, le scarpe da ginnastica con le lucette che si accendono mentre si cammina o la maglietta firmata) c’è bisogno di lavorare, produrre, correre, sbrigarsi. I figli vanno tenuti bene. Vogliono il telefonino di ultima generazione, il computer al plasma e poi bisogna pagare la quota per la piscina, la palestra o per la scuola di pianoforte. Quante cose bisogna fare!

E poi c’ è il lavoro, sempre più impegnativo.
E poi la spesa, il traffico, parcheggiare, cucinare.
Non si arriva mai.
Non c’è mai tempo, neanche per riposarsi.
I genitori, proprio perché devono produrre e lavorare, hanno sempre meno tempo di stare con i loro figli, quindi si arrampicano sugli specchi per allocare i bambini dovunque: finita la scuola li trasportano, sempre in gran fretta, dall’inse­gnante di musica, al campo di calcio, in piscina.
Mentre i genitori non hanno più tempo per stare con i propri figli, si dilata a dismisura il tempo di essere e rimanere figlio “a carico”.
In questa situazione, quasi paradossale, si crea un vuoto: un mare di non incontro (tra genitori e figli) dove bambini, ragazzini e adolescenti nuotano, annaspano, a volte si perdono per la paura di non farcela.
Su questo stato di cose, già di per sé problematico ed inedito, si innesta un altro meccanismo altrettanto complesso e preoccupante.
L’opulenza della nostra società fa interiorizzare a molti bambini grandi aspettative, se non altro perché le attenzioni materiali che ricevono sono pressoché infinite: giocattoli, divertimenti, cibi sempre più sofisticati e saporiti, indumenti caldi e colorati. E poi la televisione, i cartoni, i videogiochi; si può dormire perfino nel lettone tra mamma e papà.
I bambini tendono così a percepirsi come degli idoli, dei piccoli imperatori-prodigio, illudendosi della possibilità di proseguire nella crescita sempre al centro delle attenzioni, protetti e tutelati da ogni dolore, da ogni possibile frustrazione.
Si è creata, per certi versi, una generazione che ha vissuto, e vive sempre più, un’infanzia completamente ovattata e anestetizzata rispetto al dolore, al conflitto ed alla possibile perdita.
Basterà infatti il dolore percepito in seguito ad un fallimento sportivo, ad un cattivo voto, alla delusione amorosa a far crollare le illusioni, producendo sintomi, malattia, catastrofe.
Accedere ad un surplus di beni materiali e rinunciare alla relazione con i genitori (quella autentica e profonda) può comportare nei bambini la formazione di un Sé “grandioso” che poco può mediare con le normali asperità del quotidiano.
Ricolmi di ogni altro ben di Dio, non riescono a modulare una propria capacità di desiderare e ogniqualvolta percepiscono anche una leggera frustrazione urlano e piangono affinché la frustrazione, il conflitto, la discrepanza si annullino subito.

Nel ruolo forzato di piccoli imperatori si comportano nell’unico modo a loro concesso: chiedono, vogliono, esigono.
Spesso i genitori si sentono vittime di questi tiranni, dimenticandosi che sono proprio loro i maggiori azionisti dell’impero. Pur di non sentirli urlare, imprecare e frignare, si mettono a totale disposizione, riempiendo i figli di merci e cose che aumenteranno invece solo la rabbia, innescando di fatto circuiti viziosi e pericolosi: i figli vogliono, i genitori danno; i figli, ancora più arrabbiati, vogliono di più.

I genitori sono pronti a giurare che i figli del nostro tempo sono viziati. In realtà non sono viziati perché hanno troppo, ma perché sentono poco. Sentono poco il limite della gratificazione, la validità di una relazione significativa, la forza di un buon contenimento affettivo ed emozionale che li aiuti a modulare le pulsioni.
Basterebbe dire di “no” fin da quando sono piccoli, ma questa parolina magica, si sa, può essere molto impegnativa.
Il surplus di merci cui possono accedere i bambini di oggi è talmente elevato da essere costretti al consumo senza la possibilità di sentire emozioni e sensazioni.
Da una parte si sentono padroni del mondo (possono avere tutto, basta chiedere), dall’altra si anestetizzano gradualmente in quanto, bombardati da così tanti stimoli, non hanno la possibilità di desiderare, quindi di progettare e proiettarsi verso il futuro.
Vincolati al tutto e subito diventano dei piccoli narcisi fragilissimi, incapaci di assaporare il gusto della vittoria e ancor più di affrontare la frustrazione della perdita e del conflitto.

Rosanna Schiralli, psicologa e psicoterapeuta

Nostro Figlio di Schiralli e Mariani, MondadoriRosanna Schiralli è autrice con Ulisse Mariani di Nostro figlio (Mondadori, 15 euro), consigli per aiutare i ragazzi a crescere con l’Educazione emotiva, dal concepimento all’adolescenza. Un manuale da leggere dall'inizio alla fine sul metodo portato in Italia proprio dai due autori, ma anche da consultare al bisogno, quando occorrono risposte sui tanti problemi quotidiani: alimentazione, sonno, asilo, compiti a casa, sui primi amori, orari e regole da rispettare e su tanto altro.

 

 

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