È il tuo primo figlio. Anzi, no: dovrebbe essere il tuo primo figlio. Quel fagiolino che è annidato da qualche parte dentro di te non lo chiami ancora figlio per scaramanzia. Il test positivo dopo due mesi di matrimonio.
Una gioia, sì però… però tua madre sta per essere operata di tumore. Notizia improvvisa. Non si sa quanto sia grave. E la gioia per la vita che porti dentro viene annacquata dal dolore per la possibile perdita di chi ti ha dato la vita.
Sei in ospedale, non hai dormito la notte, non dormi da giorni. Aspetti che i medici escano e ti dicano come è andata l’operazione. Aspetti che diano un nome preciso e una forma al male di tua madre. Tua madre che non sa che aspetti un figlio. Non glielo hai detto per non aumentare le sue preoccupazioni. Stai male. Tuo marito non c’è, è lontano 300 chilometri.
“L’operazione è andata bene: abbiamo tolto 26 centimetri di intestino. Abbiamo pulito tutto, adesso bisogna sperare che non ci siano cellule cancerogene in giro”. Pulito tutto. Ma la paura non si può pulire. Hai bisogno di dormire, di riposarti. Crolli su un lettino in riva al mare.
Il fagiolino che è dentro di te si fa sentire: nausea, stanchezza, dolori. Troppi dolori laggiù nel basso ventre. Telefoni alla ginecologa: “Faccia un salto in pronto soccorso”. Sei di nuovo in ospedale, sola. Tu e quell’esserino che ti sta dicendo che qualcosa non va. L’ecografia: “Vedo solo il sacco vitellino, ma l’embrione non si vede, dovrebbe essere visibile ormai… torni fra una settimana”. La settimana più lunga della tua vita. Continuano le nausee, la stanchezza, il seno gonfio e la speranza. La speranza che quei sintomi stiano lì a dire che tuo figlio c’è e che sta bene.
La seconda ecografia. Questa volta ti accompagna tuo marito. Le parole che ti tolgono il fiato: “Mi dispiace, non c’è battito”. Lacrime e lacrime. Quante ne hai versate negli ultimi giorni? Il figlio che non osavi chiamare figlio non nascerà più. Ma è ancora dentro di te. Chissà se sarebbe stato un maschio o una femmina? Chissà perché la sua vita è finita così? Ti consoli pensando che fosse una creatura sbagliata, cellule organizzate così male da essere incompatibili con la vita… sì , deve essere stato così. E se invece fosse colpa tua? E se fossero stati i pensieri di morte e il dolore per tua madre a impedirgli di crescere? E se fosse stato perché sei caduta una settimana fa? Caduta colpevole, disattenzione imperdonabile. Forse tu non volevi davvero quel figlio e il tuo corpo se ne è liberato. Sì, che lo volevi. Non riesci più a pensare. La testa è annebbiata.
“Visto che siamo all’inizio della gravidanza, forse non ci sarà bisogno di un raschiamento, dovrebbe espellere tutto da sola. Se entro 10 giorni non avrà espluso, dovrà fare il raschiamento”. Saluti il medico e torni a casa. La nuova vita è morte dentro di te. Pensiero insopportabile.
Torni al lavoro, parli con tua madre che intanto ha saputo di dover iniziare la chemioterapia e ancora non sa di te, vedi gli amici. Tutto normale, nessuno scopre cosa ti sta succedendo. Finzione perfetta. Fingi anche a te stessa. Ti dici: “Cosa vuoi che sia? Capita a tante”.
E poi arriva il giorno: è come se avessi un ciclo molto doloroso, contrazioni, spinte… vai in bagno. È tutto finito. Finalmente finito. Anzi no: quel grumo di sangue tu lo ricorderai per sempre. Il figlio che non osavi chiamare figlio è la tua vita che poteva essere e non è stata. Sono manine che non accarezzerai, sorrisi che non vedrai, parole che non ascolterai. Passeranno gli anni e ogni tanto ripenserai a quel soffio di vita che ti ha solo sfiorato. Guarderai il figlio che è accanto a te e penserai a come sarebbe stato l’altro, quello che se n’è andato.
Carolina
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