Storie di mammeMio marito non stava bene da un po’. Ulcera, aveva sentenziato il medico, e gli prescrisse una serie di iniezioni. Chi le fa queste iniezioni, ci dicemmo? Io ai tempi ancora non sapevo farle. Avevo 25 anni e una bambina di sei mesi ed era novembre. Il custode di casa nostra suggerì una signora che già veniva per altri pazienti. Non so perché, ma questa donna non mi è mai stata simpatica. Chiedeva di far bollire le siringhe cinque minuti, si lavava male le mani: inconcepibile per una maniaca della pulizia personale come me.

In ogni modo, non avevamo scelta, quindi mio marito fece la cura prescritta. Passò il Natale a non lo vedevo bene, mi pareva strano, un colorito giallastro che non mi piaceva. Tornammo dal medico, che prescrisse delle analisi. E quando tornammo l’esito fu terribile “Epatite. Presentatevi con questo foglio in ospedale, per il ricovero”. Ero terrorizzata: non volevo che andasse in ospedale, ma non c’era scelta. A casa non poteva stare, l’epatite è infettiva e avrebbe potuto contagiare sia me sia la piccola. Lo accompagnai, straziata, al reparto malattie infettive. Aspettai di vedere dove sarebbe stato sistemato.

Piansi, quando vidi che era in una stanza con una parete di vetro, perché solo da lì l’avrei visto, per quaranta lunghissimi giorni. La sera, dopo il lavoro, andavo a trovarlo e anche se lui cercava di sorridere attraverso il vetro, vedevo quanto erano tristi i suoi occhi. La prima domanda era sempre la stessa “E Piccola, come sta?” aveva tanta voglia di vederla, cresceva e lui non c’era. Scriveva tante lettere che mi passava attraverso una feritoia, in cambio delle mie. E anche lì l’argomento principe era la bambina, che gli mancava tanto. Ricordo un periodo faticosissimo: non guidavo, allora, e l’ospedale era lontano sia dal posto di lavoro sia da casa. Ore e ore sui mezzi pubblici, con un freddo tremendo e una nevicata da ricordare. Ma non sono mai mancata un giorno, non avrei potuto.

La piccola era serena, dai nonni. Era felice di vedermi, mi scrutava a lungo, ricordo, e mi ero convinta che con quei grandi occhioni verdi volesse chiedermi del suo papà. Io cercavo di essere allegra, quand’ero con lei, ma non lo nominai mai.Venne il giorno delle dimissioni. Andai a prendere mio marito e volevo portarlo a casa: era in convalescenza e non doveva assolutamente stancarsi. Ma non ci fu nulla da fare, volle andare a vedere sua figlia, prima. Così, entrammo in casa dei miei. Ricordo, la piccola era in braccio a mia madre. Lui la guardò, sorrise e tese le braccia, in cui la bambina si tuffò letteralmente. Erano quasi due mesi che non lo vedeva, ma lo abbracciò e lo guardò sorridendo. “Chi è?” chiese mia madre. Lei aprì la bocca e disse “papà”. Era la prima volta, non l’aveva mai detto. Nessuno di noi trattenne le lacrime, mentre lei ripeteva “papà, papà”. Ho ancora quell’immagine negli occhi, e quella vocina, quella vocina è nel mio cuore.

Annamaria Pizzinato, wondernonna.it

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