Storie di mammeOggi vi racconto di Davide, il mio bimbo di 4 anni e mezzo. Il suo papà è africano, e sul suo volto si mescolano i colori e i tratti delle nostre famiglie. Gli occhi neri, dal taglio orientale come quelli di suo padre, ma grandi come i miei. Il naso di papà e la bocca di mamma. I capelli ricci di papà, ma ammorbiditi da quelli di mamma. La pelle ambrata, appena due note più scura della mia, conclude il quadro delle somiglianze e delle combinazioni.

Davide è bellissimo, di quella bellezza che può derivare solo dalla mescolanza di due etnie diverse. È ammaliante nei modi, senza quella malizia che attendo gli arrivi con gli anni, quando il suo potenziale si svelerà anche ai suoi occhi, oltre che a quelli del resto del mondo. È un’evidenza cui ho dovuto arrendermi nel tempo, accogliendo i complimenti con malcelato imbarazzo.

Ho sempre vissuto con un certo disagio gli apprezzamenti su mio figlio, considerando che arrivano per un merito che non ho e per una cosa che non può essere considerata un merito; non riesco mai a capire fino a che punto siano sinceri e quanto invece vengano filtrati dall’attrazione che si potrebbe avere per un animale esotico, attraente solo perché diverso. Mi è capitato a volte di imbattermi in conoscenti che volevano fotografarlo per mostrarlo agli amici, come un animaletto esposto in fiera, ed è sempre difficile girare i denti in questi casi, e far capire dove sta il limite tra l’apprezzamento e la scortesia.

Sembra futile che io mi soffermi tanto su un aspetto così superficiale ed esteriore, ma è quello che le persone fanno di continuo. Si soffermano alla superficie, spesso con tenerezza e ingenuità, ma con piccoli gesti e parole che diventano inconsapevoli sassate. Mi sono interrogata spesso su quanto questo aspetto influenzerà la sua vita.

Su quanti saranno capaci di interrogarsi oltre il colore della sua pelle e i suoi riccioli neri. Ora infonde ancora tenerezza; spesso il giudizio tagliente lo sento più sulla mia di pelle, per la scelta che ho fatto di sposare un africano. Prima gli italiani, anche in questo caso. Ma i nodi verranno al pettine tra qualche anno.

A scuola insegnano che siamo tutti uguali. A me piace ricordargli che siamo tutti diversi, e che la sua diversità un giorno sarà la sua ricchezza. Saprà parlare due lingue, ballare al ritmo dei tamburi africani e cantare De Andrè, e guardare al mondo come ad un insieme disordinato e perfetto di cose, anziché chiudersi in compartimenti stagni.

Un giorno suo cugino ha disegnato loro due coi rispettivi papà. Ha colorato di rosa se stesso e il papà, e mio marito marrone scuro; ma la faccia di Davide l’ha fatta rosa. Davide si è molto arrabbiato, e ha ridisegnato il proprio viso marrone, ma più chiaro.

Questo scarto sulla percezione di sé rispetto a quella del cuginetto mi ha fatto riflettere tanto. È come se in quel disegno innocente, in quel tenero diverbio avessi visto lo specchio di cosa potrebbe succedere domani. La messa in discussione della propria identità, la scissione che prima poi arriverà. E il mio compito è dargli gli strumenti per ritrovarsi intero, nonostante tutto.

L’Italia ancora non è pronta a tutto questo, me lo rivelano gli sguardi curiosi e indagatori sulla nostra famiglia. Eppure sono certa che Davide farà il suo percorso, e darà il suo contributo per uscire da questa ricaduta di Medioevo. Del resto si sa, i bambini sono saggi, sono competenti, e a volte sanno darci risposte che non osiamo nemmeno cercare.

Sara Tassara

allegroconbiro.blogspot.it

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