Era un tranquillo pomeriggio dell’ormai lontano giugno 2008. Tutto procedeva alla grande, avevamo appena comprato il nostro nido d’amore per tutta la famiglia, ma dopo qualche ora di giochi in cortile, improvvisamente il mio Paolo, 3 anni, comincia a stare male: nervosismo che poi si tramuta in febbre alta e macchie su tutto il corpo.
Telefonate alla pediatra e prima visita al pronto soccorso. Diagnosi del medico di turno del reparto pediatria: esantema minore “continui pure antibiotico e cortisone e vedrà che suo figlio starà meglio”. Ritorno a casa, febbre sempre più alta. Visita domiciliare della pediatra e 1° diagnosi non confermata: scarlattina. Il suo consiglio fu di ritornare al pronto soccorso nel caso le macchie si fossero diffuse nuovamente. Sospettava un’allergia alimentare brutale.
Ore 23:00. Decidiamo di ritornare in ospedale: ricovero immediato. Era un fine settimana e per un controllo del primario bisognava attendere il lunedì. Intanto la febbre non accennava a diminuire e ogni 3 ore c’era una supposta da mettere e flebo da sostituire. Inutile dire lo spavento. Dopo 6 giorni di flebo, digiuni, lacrime che ormai non si arrestavano più, ecco arrivare la prima vera diagnosi: MALATTIA DI KAWASAKI! Cos’era?!?!?!? Non sto qui a dilungarmi perché la ferita è ancora aperta nel mio cuore di mamma. Prime trasfusioni di immunoglobuline e già a fare pensieri bruttissimi. La gente cattiva che ti sbandierava ai quattro venti che questa malattia in alcuni casi può essere mortale.
La notte più bella della mia vita
Dopo 12 giorni, Paolo sembrava stare meglio, ma il peggioramento era in agguato... Trasferimento in un altro ospedale. Era il 12 luglio, 40° all'ombra , 39° di febbre e un'ora circa di viaggio in ambulanza con mio figlio in braccio, ormai stremato, seduti su una poltrona di pelle senza aria condizionata (ambulanza da terzo mondo). Mio marito sfrecciava dietro di noi cercando di non perderci. Arrivati al nuovo ospedale diagnosi confermata, esami a non finire e di nuovo trasfusione di immunoglobuline. Girando per i corridoi mi sentivo comunque fortunata perché vedevo bambini con malattie peggiori di quella di mio figlio, ma pregavo ogni singolo secondo affinché il buon Gesù mi restituisse sano e salvo il mio angioletto.
La situazione giorno dopo giorno sembrava migliorare e il mio nanetto piano piano riprendeva a mangiare. Con il cuore in gola lasciavo a casa l’altro piccolino di 5 mesi che non poteva più bere dal mio seno e che non ho visto per 3 settimane.
I lavori nella nuova casa sono stati interrotti e la gioia di avere una nuova casa non era più tra i miei pensieri. Se sono qui a raccontare questa storia è perché mio figlio è perfettamente guarito da quel morbo di cui ignoravo l'esistenza e che può provocare complicanze gravi, anche mortali, o lasciare pesanti strascichi. Adesso il mio ometto fa solo controlli di routine.
Dopo quell’estate ho cambiato il mio modo di concepire la vita: godo ogni istante vissuto con la mia famiglia e non voglio preoccuparmi di quello che avverrà domani. La mia vita è il PRESENTE.
Sono passati già 6 anni proprio oggi. Io non dimenticherò mai. Adesso i miei pulcini sono di là che giocano felici mentre le lacrime solcano il mio viso.
Giovanna
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