Storie di mamme I figli sono come le rose, mai senza spine, aggiungo. Accompagnarli e guidarli nella loro crescita è un percorso complesso e accidentato. Così mi chiedo: è sufficiente un Sì convinto proveniente dal nostro mondo interno quando decidiamo di dare la vita per farci diventare madri ipso facto? O diventare mamma è una conquista necessaria per potersi poi prendere cura delle nostre creature?

Talvolta il diventa un Forse, che sfocerà nel Dopo e che si potrebbe trasformare in un Mai. Anno 2017: Orna Donath, Sociologa e Ricercatrice dell'Università di Tel Aviv nel suo saggio Regretting motherhood, divenuto anche libro tradotto in diverse lingue va oltre, per raccontarci del così detto mai-più-nella-vita, ossia il rimpianto materno. Donne divenute madri di più figli e persino nonne che, guardando alla loro esperienza materna la definiscono attraverso il pentimento ed il rimorso (“se tornassi indietro sapendo quello che so oggi deciderei di non avere mai e poi mai figli”). Attraverso le 23 interviste realizzate con donne tra i 20 ed i 70 anni, la Donath si addentra nel materno utilizzando un concetto chiave: ambivalenza. Essa è il sentimento fondativo della maternità, il materno è ambivalenza. Si crea un'equazione perfetta che include oscillazioni tra amore e risentimento, il rancore ed il senso di colpa opposti alla tenerezza, la frustrazione che fa breccia tra la gioia. Per la Donath il rimpianto dell'esperienza materna può giungere al punto limite: il sentimento d'inadeguatezza e di ambivalenza, il rifiuto di un ruolo sociale imposto, fatto di aspettative eccelse donano sfumature inedite alla maternità ed alla genitorialità, così da farle virare verso il cupo, oltre le ombre che ben conosciamo... Il “peso” dell'essere madre è eccessivo, nell'accezione dell'insieme di responsabilità quotidiane e di una cura esclusiva dei figli affidata ad uno solo dei genitori: la mamma. Dalla ricerca della Donath emerge come sia possibile “amare i propri figli incondizionatamente” ma rimpiangere l'esperienza materna in sé, in quanto foriera di disagi ed infelicità non previsti; la maternità, come ogni altra esperienza porta l'impronta della soggettività e della personalizzazione. Qui, la donna è portatrice di sentimenti e bisogni che s'intrecciano al suo ruolo, al suo contesto sociale e religioso, alla sua etnia di provenienza.

Possiamo notare la tendenza da tempo (soprattutto nella società italiana) ad appiattire l'identità femminile su quella materna allo scopo di ottenere coincidenza perfetta che non considera, invece, la maternità come esperienza in divenire e alquanto fragile, imperfetta (la buona madre tutta-mamma e solo mamma, dove l'identità di donna si annulla per far posto a quella di madre). C'è una divaricazione evidente tra codice femminile e codice materno. Il primo ha subìto un'evoluzione: la donna dipendente, fragile, incapace di autonomia economica e sociale, costretta a gravitare nella sfera maschile alla ricerca di sicurezza e protezione per sé ed i suoi figli ha lasciato il posto alla consapevolezza individuale, all'indipendenza finanziaria e ad un ruolo sociale forte, oltre ad una relazione di coppia paritetica fatta di libertà di scelte (sulla maternità, il divorzio, la professione). E il codice materno? È rimasto identico al passato: tradizionale, romantico, assoluto, soccorrevole e statico. Colei che non si adegua ad esso sarà identificata come una cattiva mamma.

È la madre che si occupa dei figli: il vuoto sociale (dovuto alla mancanza di servizi per l'infanzia e l'adolescenza), il disinteresse politico che considera i figli un prolungamento materno invece che soggetti con diritti e doveri sui quali investire amplificano e alimentano sentimenti che nutrono l'ambivalenza materna. Essa si alterna di continuo tra amore e odio e diventa esperienza dinamica di conflitto. Questo ci riporta alla ricerca sociologica di Regretting motherhood: le madri pentite, così come le non madri per scelta si ritrovano ad avere a che fare con norme sociali che le considerano al di fuori del sistema normativo. Il sentimento di esclusione (e della non appartenenza) grava sulla loro coscienza e trasforma a livello fantasmatico il futuro bambino come Altro-da-Sé minaccioso, da temere. Se la paura della non appartenenza sfocia nella scelta di una maternità, quest'ultima verrà vissuta forse come transizione automatica e irriflessiva, confusa. La conseguente negazione del ruolo di mamma e del percorso intrapreso per diventarlo è una mera conseguenza così come il desiderio di cancellare “idealmente” l'esperienza materna vissuta.

Anno 2019: Livia Rodà, storyteller e creatrice di contenuti per campagne tradizionali multimediali e sui social media quali Effetto Domino (lungometraggio) e Più della vita (documentario) per citarne alcune, insieme a Martina Acazi, fotografa e filmmaker, laureata in Discipline dell'Arte, Musica e Spettacolo presso l'Università di Padova, specializzatasi poi presso la Wildlife Academy in Sudafrica, danno vita al primo progetto italiano, per dare voce al materno nascosto, ambivalente che alberga in molte donne. Non sempre la maternità viene accolta con gioia e tripudio, perché rivela a chi la vive, quel senso di spaesamento, dubbi e paure che si trasformano in rimpianto.

Svariati gruppi di discussione sono nati sui social, prevalentemente stranieri, dove le testimonianze soggettive di coloro che hanno vissuto o stanno or ora vivendo questa esperienza, danno alla questione del rimpianto materno punti di vista non solo unici ma pluri-sfaccettati.

L'adesione al progetto è libera e in anonimato. Chi desiderasse partecipare può contattare direttamente le referenti all'indirizzo mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., liete di darvi tutte le informazioni necessarie.

Il desiderio materno se trasceso nel figlio lo aiuta ad acquisire il desiderio della vita, un desiderio unico nel suo genere, grazie ad una madre che riconosce il figlio come tale. La mamma ideale è tramontata? Forse sì. Se iniziassimo a dare spazio a quest'idea potremmo incominciare ad elaborare la sofferenza della perdita, e consentire a queste verità nuove di farsi strada dentro di noi.

Dott.ssa Francesca G. Camìsa
Psicologa Psicanalista, Esperta Perinatale
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